2004
Klang, il suono che spezza, quarta personale dedicata all'artista dallo Studio Dabbeni, comprende ventotto lavori inediti di piccolo e grande formato.
Il nucleo principale, raccolto nella sala centrale della galleria, è costituito da cinque opere intitolate Klang, realizzate nel 1983 durante l'anno trascorso a Berlino, culminato nell'importante mostra alla Nationalgalerie. Il segno ricorrente in questi lavori è quasi una sigla evocatrice, il simandron, il gong di ferro arcuato appeso a catene, che Bartolini aveva scoperto durante il suo soggiorno nel monastero di Vatopedi sul Monte Athos: esso rappresenta la fonte del suono che scandisce la giornata dei monaci. La mezzaluna del simandron, ribattezzato più familiarmente Klang (suono), diventa metafora di suoni, ritmi e danze.
In queste opere gli strati di colore, che si sovrappongono ed ispessiscono il supporto cartaceo fino ad alterarne la consistenza e a renderla plastica, flessuosa, resistente, portano testimonianza di un lungo e lento lavoro. La contrapposizione tra pieno e vuoto, sulla quale si iscrivono gli arabeschi simbolici assume la metafora dell'evocazione cosmica. Indietro
Il nucleo principale, raccolto nella sala centrale della galleria, è costituito da cinque opere intitolate Klang, realizzate nel 1983 durante l'anno trascorso a Berlino, culminato nell'importante mostra alla Nationalgalerie. Il segno ricorrente in questi lavori è quasi una sigla evocatrice, il simandron, il gong di ferro arcuato appeso a catene, che Bartolini aveva scoperto durante il suo soggiorno nel monastero di Vatopedi sul Monte Athos: esso rappresenta la fonte del suono che scandisce la giornata dei monaci. La mezzaluna del simandron, ribattezzato più familiarmente Klang (suono), diventa metafora di suoni, ritmi e danze.
In queste opere gli strati di colore, che si sovrappongono ed ispessiscono il supporto cartaceo fino ad alterarne la consistenza e a renderla plastica, flessuosa, resistente, portano testimonianza di un lungo e lento lavoro. La contrapposizione tra pieno e vuoto, sulla quale si iscrivono gli arabeschi simbolici assume la metafora dell'evocazione cosmica. Indietro